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sabato 24 ottobre 2015

Il dolce stil novo

Il dolce stil novo è una tendenza poetica diffusa in Toscana tra la seconda metà del 13° e l’inizio del 14° secolo, così chiamata dalla critica moderna sulla base di versi di Dante (Purgatorio, XXIV, 49-62). Sua materia poetica è l’amore, sia in quanto confessione sentimentale, sia e soprattutto in quanto meditazione sulla sua essenza filosofica e sui suoi effetti psicofisiologici e soprattutto morali.

Iniziatore dello stilnovo e maestro degli stilnovisti, come dice Dante in un altro passo del Purgatorio (XXVI, 97-99), fu Guido Guinizzelli; il breve canone dei componenti del gruppo, oltre lo stesso Dante e il suo «primo amico» Guido Cavalcanti, comprende i loro giovani coetanei e amici Lapo Gianni, Dino FrescobaldiGianni Alfani, fiorentini, ai quali si aggiunse più tardi Cino da Pistoia.

Di fatto, la novità stilnovistica della nuova poesia non fu sentimentale ma dottrinale e stilistica. 
Quest’ultima consiste nella dolcezza, che nel pensiero di Dante era dolcezza di suono, da ottenere mediante la scelta accurata di vocaboli, la loro semplice collocazione, il ripudio di suoni duri, di forme artificiose e aggrovigliate, cioè il ripudio dello stile di Guittone, che, maestro ammirato della precedente generazione, è il bersaglio degli stilnovisti.
Meno chiaro in che cosa consista propriamente la novità contenutistica. Che la loro poesia tratti un amore diverso dal piacere sensuale, che, in genere, rifugga da ogni rappresentazione realistica, è certo (la poesia sensuale e realistica è cantata anche dagli stilnovisti, ma in zone a parte dei loro canzonieri, aventi modelli e strutture stilistiche loro proprie); ma ciò non basta a distinguerli dai predecessori, i quali avevano cantato amori ugualmente casti, e, ciò che è più importante, avevano anch’essi considerato l’amore come segno di elevatezza spirituale e mezzo di ulteriore elevazione.

Henry Holiday, 1883, L'incontro tra Dante e Beatrice
Uno dei più chiari esempi dello stile della scuola stilnovista è Tanto gentile e tanto onesta paresonetto di Dante contenuto nel XXVI capitolo della Vita Nova.

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